venerdì 11 novembre 2011

Wilkinson: perfezione e depressione

Jonny Wilkinson sta pubblicando a puntate sul Times la sua nuova biografia. Traccia di sè un ritratto inquietante, a tratti sconvolgente, di un atleta ossessionato dalla perfezione e per questo a volte depresso fino all'autolesionismo. Ecco una sintesi redatta da Mailonline.



Jonny Wilkinson ha rivelato che la sua famigerata paura del fallimento e la sua ossessione per la perfezione lo ha reso talmente depresso da creargli gravi problemi. Il mediano d'apertura dell'Inghilterra è stato afflitto da una successione apparentemente infinita di infortuni che lo hanno condotto a mordersi le mani, urlare sott'acqua, soffrire d'insonnia e a strapparsi i vestiti di dosso. Jonny, 32 anni, documenta la sua parabola verso un'oscura ossessione nella sua nuova autobiografia.
Cominciò nell'estate del 2002, quando si era messo d'accordo con Clive Woodward, poi l'allenatore dell'Inghilterra, di perdere il tour in Argentina e di stare a riposo dopo cinque anni di tour estivi. “Improvvisamente mi sono trovato in un territorio vergine” spiega Wilkinson. “La squadra inglese è là fuori che lavora sodo e io sono a casa e non faccio nulla. Senza rugby, senza spingere me stesso fino a dove posso arrivare, senza più lavorare sul mio cammino per essere il migliore, chi sono io? Il mio intero sistema di valori è stato creato intorno all'essere il migliore giocatore del mondo e al fare ciò che è necessario per arrivarci. Ma lontano dal rugby che cosa mi resta? Questo inizia come un pensiero, un singolo concetto negativo. Eppure, più cerco di capirlo, più lontano sono da una risposta. Comincio a dormire terribilmente male, tre o quattro ore per notte”.
Anni dopo, Wilkinson sarà costretto a prendere i sonniferi prescritti dal medico del club di Newcastle, Graeme Wilkes, per aiutarlo a combattere l'insonnia, ma già alla fine dell'estate 2002 aveva raggiunto il punto di rottura. “Un senso di impotenza dominava i miei giorni d'estate”, dice. “Tutto sembrava inutile, e in questi casi la mia reazione naturale è di trattare il problema come faccio con i miei calci, elaborare e continuare a lavorare fino a quando ce la faccio. Ma concentrandomi così intensamente ho solo peggiorato la situazione. Il mio lato ossessivo mi ha veramente preso a calci. Un giorno torno dall'allenamento con questa oscurità che abita il mio cervello. Vado all 'Hotel Slaley Hall. Di solito uso la sua piscina per rilassarmi. Questa volta faccio in modo che non ci sia nessun altro in giro, mi immergo completamente in acqua e poi lancio un urlo di frustrazione totale. Risalgo per respirare e poi mi immergo per urlare di nuovo. Non ci sono parole, solo disperazione pura. Continuo a urlare per tutto il tempo e più forte che posso e non mi fermo finché non divento rauco. Non riesco a trovare altro modo per affrontare questo ininterrotto fuoco di fila di pensieri e negatività”.
Nei primi mesi del 2006, dopo quasi due anni pieni di infortuni, Wilkinson percepiva il fallimento in modo ancora più duro. Le sue parole sono ancora più pertinenti dopo la performance incostante alla Coppa del mondo in Nuova Zelanda, dove, per la prima volta in carriera, ha mancano cinque calci consecutivi contro l'Argentina nella partita inaugurale dell'Inghilterra. “Quando sono abbastanza in forma per calciare, vado da solo ad allenarmi al (centro di formazione interno) di Darsley e sono così disperatamente desideroso di farlo bene, così condizionato dal fastidio e dalla paura di non essere perfetto, che la rabbia che sento dentro comincia a esprimersi fisicamente. Non so cosa sia, ma la mia frustrazione è così intensa che comincio a gridare contro il muro, a urlare oscenità. Ma mi punisco anche per i miei errori. Quando il mio piede sinistro mi delude, lo picchio con forza. Ad un certo punto, sono così furioso che, prima di rendermene conto sto affondando i denti nella mia mano, mordo la pelle tra il pollice e l'indice. Ho visualizzato l'esito perfetto di ogni calcio, ma quando il mio allenamento non corrisponde a questa perfezione devo fare qualcosa, così comincio strappare la mia t-shirt. E questo diventa un'abitudine, comincio a passare attraverso troppe t-shirt. Mi ritrovo da solo a Darsley, con addosso una mezza maglietta, la mia voce rauca o completamente afono per le urla, un piede sinistro contuso, tutto perché ho lasciato che la frustrazione abbia avuto la meglio su di me”.



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