A 32 anni Johnny Wilkinson ha annunciato l'addio alla maglia dell'Inghilterra. L'Independent ricorda i momenti salienti della sua carriera, primo fra tutti il drop del 2003 che fece vincere all'Inghilterra la Coppa del mondo.
Il rugby inglese è diviso in due fazioni: quelli che considerano Jonny Wilkinson il miglior giocatore che abbia mai indossato la maglia bianca - praticamente l'unico giocatore che valga la pena guardare, di fatto - e le anime più realistiche che hanno deciso da tempo che il mediano di apertura non è proprio il genio che molte migliaia di sostenitori considerano. Ma non c'è alcun dubbio su un fatto: nessun giocatore ha mai dato più di se stesso o si è preparato in modo più approfondito per vivere sulla scena internazionale.
Wilkinson ha confermato il suo ritiro dalla nazionale, come tutti coloro che non guardano le cose attraverso occhiali rosa sapevano dal momento che aveva prolungato il suo contratto con i francesi del Tolone nel Top 14, mettendosi così deliberatamente fuori dalle nuove linee guida delle selezioni inglesi entrato in vigore dopo la Coppa del Mondo in Nuova Zelanda. Anche se avesse sperato che i signori e padroni di Twickenham avrebbero ceduto, facendo di lui un caso speciale in segno di gratitudine per i servizi resi, la sua performance nella terra degli All Blacks in autunno ha messo in mora tale idea. Durante il torneo mondiale è apparso palesemente come un giocatore in declino. Dannazione, non riusciva nemmeno a calciare in mezzo ai pali.Solo il critico dal cuore più duro potrebbe però soffermarsi sui suoi fallimenti. Wilkinson è stato, in grande stile, il miglior calciatore del mondo, il difensore più affidabile del congestionato e pericoloso canale del numero 10, il più determinato nell'allenamento, il più professionale degli sportivi professionisti. Quando l'impegno e il desiderio erano nella giusta misura, è stato lo Steve Redgrave (campione del canottaggio, 5 ori olimpici, ndr) del rugby, l'AP McCoy (celebre fantino, ndr) del gioco.
Se la sua quarta e ultima campagna di Coppa del Mondo, sotto la guida di Martin Johnson, è stata una delusione - molto più della prima sotto Clive Woodward, nel 1999, quando fu misteriosamente scartato dal XV di partenza la mattina del quarto di finale contro il Sudafrica, dopo essere stato decisamente incluso la notte prima – le sue prestazioni nei torneo del 2003 e del 2007 sono state notevoli sotto molti punti di vista. In nessuna di queste occasioni era al suo meglio in assoluto: nel 2003 aveva avuto serate difficili contro Samoa e Galles, nel 2007 improvvisamente si accorse che non poteva piegare la palla alla sua volontà dal tee, come aveva fatto per quasi un decennio. Ma realizzò il famoso drop con il piede "sbagliato" per vincere il titolo a Sydney e portò i colpi che contribuirono a proiettare il suo paese verso la seconda successiva finale a Parigi.
Ci sono state forti emozioni legate a questi risultati, anche se lui è tutt'altro che un giocatore da brivido. Se la sua abilità, in particolare nei calci e nei passaggi lunghi, sono stati esemplari (avvicinando la perfezione artistica, secondo molti degli allenatori che hanno lavorato con lui), la parte più astratta del suo gioco - il lato fantasioso e creativo del rugby reinventato da numeri 10 come Jonathan Davies e Juan Martin Hernandez - è rimasta ben nascosta, ammesso che sia esistita. Per ogni sette persone che hanno messo Wilkinson in cima dell'albero, tre lo sentivano come un prodotto "di laboratorio": un'apertura sviluppata in modo innaturale.
Ma c'è stato un momento della sua carriera, nell'autunno del 2002, quando è stato innegabilmente il numero 10 più eccezionale di questo sport. Libero, almeno per un po', dai guai al collo comparsi già all'inizio del suo lungo periodo a Newcastle e che lo avrebbero poi messo fuori squadra per mesi e stagioni, ha giocato con una libertà che smentiva la sua fama di abbottonato fornitore di un rugby fatto di percentuali.
Non durò. Un anno dopo, in occasione della Coppa del Mondo in terra Wallaby, le sue performance furono ben lontane da quelle che aveva inflitto così gloriosamente a Springboks e All Blacks davanti a un pubblico adorante a Twickenham che, nel suo tipico modo inglese, santificava il terreno che lui calpestava. Poi gli infortuni lo hanno davvero preso a calci e al suo ritorno Wilkinson ha faticato a ritrovare qualcosa di simile al meglio di sé.
Mai una volta, però, si è arreso: i suoi standard di preparazione non sono stati negoziabili e ha incontrato gli stessi standard ogni volta all'interno del campo dell'Inghilterra. C'è una storia divertente sulla squadra della rosa rossa radunata in Portogallo prima della Coppa del Mondo 2007. Il centro dei Wasps Fraser Waters stava tornando tranquillamente nella sua stanza dopo una notte di bagordi, quando nella hall dell'albergo incrociò Wilkinson, che camminava nella direzione opposta con un sacco di palloni a tracolla, diretto verso una sessione di calci all'alba. Waters? Bagaglio dimenticato. Wilkinson? Bagaglio prezioso.
Dopo aver disputato la finale del torneo - il suo ritorno da un infortunio aveva fornito una direzione alla squadra assemblata in fretta da Brian Ashton - si sentiva disincantato rispetto al regime di Johnson stabilito in circostanze controverse nel 2008. E' stato infatti vicino a dichiarare conclusa la carriara internazionale nel 2010 e c'è stata una discussione per convincerlo a completare un altro ciclo di Coppa del Mondo. Ne valeva la pena? Nel suo libro di recente pubblicazione, Wilkinson lascia la questione sospesa. Ci sono stati sicuramente momenti, durante il recente torneo, in cui è apparso infastidito, forse anche disgustato, dal comportamento di alcuni giocatori esperti - giocatori secondo i quali ci sono più cose nella vita del rugbista che il semplice rugby. Questa è una nozione non è mai entrata nella testa di Wilkinson - non nella sua adolescenza, ancora meno a trent'anni.
Forse non è stato la più grande apertura, nemmeno della sua generazione: Daniel Carter, il neozelandese, pretende questo riconoscimento. Ma nessuno ha mai spremuto così tanto dal talento che Dio gli aveva donato, e solo per questo Wilkinson è degno di stima eterna. Come giocatore di considerevoli qualità ha chiesto al popolo mondiale del rugby di chinare la testa e piegare il ginocchio.
Se la sua quarta e ultima campagna di Coppa del Mondo, sotto la guida di Martin Johnson, è stata una delusione - molto più della prima sotto Clive Woodward, nel 1999, quando fu misteriosamente scartato dal XV di partenza la mattina del quarto di finale contro il Sudafrica, dopo essere stato decisamente incluso la notte prima – le sue prestazioni nei torneo del 2003 e del 2007 sono state notevoli sotto molti punti di vista. In nessuna di queste occasioni era al suo meglio in assoluto: nel 2003 aveva avuto serate difficili contro Samoa e Galles, nel 2007 improvvisamente si accorse che non poteva piegare la palla alla sua volontà dal tee, come aveva fatto per quasi un decennio. Ma realizzò il famoso drop con il piede "sbagliato" per vincere il titolo a Sydney e portò i colpi che contribuirono a proiettare il suo paese verso la seconda successiva finale a Parigi.
Ci sono state forti emozioni legate a questi risultati, anche se lui è tutt'altro che un giocatore da brivido. Se la sua abilità, in particolare nei calci e nei passaggi lunghi, sono stati esemplari (avvicinando la perfezione artistica, secondo molti degli allenatori che hanno lavorato con lui), la parte più astratta del suo gioco - il lato fantasioso e creativo del rugby reinventato da numeri 10 come Jonathan Davies e Juan Martin Hernandez - è rimasta ben nascosta, ammesso che sia esistita. Per ogni sette persone che hanno messo Wilkinson in cima dell'albero, tre lo sentivano come un prodotto "di laboratorio": un'apertura sviluppata in modo innaturale.
Ma c'è stato un momento della sua carriera, nell'autunno del 2002, quando è stato innegabilmente il numero 10 più eccezionale di questo sport. Libero, almeno per un po', dai guai al collo comparsi già all'inizio del suo lungo periodo a Newcastle e che lo avrebbero poi messo fuori squadra per mesi e stagioni, ha giocato con una libertà che smentiva la sua fama di abbottonato fornitore di un rugby fatto di percentuali.
Non durò. Un anno dopo, in occasione della Coppa del Mondo in terra Wallaby, le sue performance furono ben lontane da quelle che aveva inflitto così gloriosamente a Springboks e All Blacks davanti a un pubblico adorante a Twickenham che, nel suo tipico modo inglese, santificava il terreno che lui calpestava. Poi gli infortuni lo hanno davvero preso a calci e al suo ritorno Wilkinson ha faticato a ritrovare qualcosa di simile al meglio di sé.
Mai una volta, però, si è arreso: i suoi standard di preparazione non sono stati negoziabili e ha incontrato gli stessi standard ogni volta all'interno del campo dell'Inghilterra. C'è una storia divertente sulla squadra della rosa rossa radunata in Portogallo prima della Coppa del Mondo 2007. Il centro dei Wasps Fraser Waters stava tornando tranquillamente nella sua stanza dopo una notte di bagordi, quando nella hall dell'albergo incrociò Wilkinson, che camminava nella direzione opposta con un sacco di palloni a tracolla, diretto verso una sessione di calci all'alba. Waters? Bagaglio dimenticato. Wilkinson? Bagaglio prezioso.
Dopo aver disputato la finale del torneo - il suo ritorno da un infortunio aveva fornito una direzione alla squadra assemblata in fretta da Brian Ashton - si sentiva disincantato rispetto al regime di Johnson stabilito in circostanze controverse nel 2008. E' stato infatti vicino a dichiarare conclusa la carriara internazionale nel 2010 e c'è stata una discussione per convincerlo a completare un altro ciclo di Coppa del Mondo. Ne valeva la pena? Nel suo libro di recente pubblicazione, Wilkinson lascia la questione sospesa. Ci sono stati sicuramente momenti, durante il recente torneo, in cui è apparso infastidito, forse anche disgustato, dal comportamento di alcuni giocatori esperti - giocatori secondo i quali ci sono più cose nella vita del rugbista che il semplice rugby. Questa è una nozione non è mai entrata nella testa di Wilkinson - non nella sua adolescenza, ancora meno a trent'anni.
Forse non è stato la più grande apertura, nemmeno della sua generazione: Daniel Carter, il neozelandese, pretende questo riconoscimento. Ma nessuno ha mai spremuto così tanto dal talento che Dio gli aveva donato, e solo per questo Wilkinson è degno di stima eterna. Come giocatore di considerevoli qualità ha chiesto al popolo mondiale del rugby di chinare la testa e piegare il ginocchio.
Cinque momenti alti per Jonny:
come Wilkinson è diventato una leggenda in Inghilterra
1. Jonny sarà sempre ricordato per quello che ha fatto con la maglia dell'Inghilterra nella finale della Coppa del Mondo 2003. Dopo aver giocato in modo eccezionale per tutta la partita contro l'Australia, in difesa e in attacco, Wilkinson ha colpito con un drop a tempo scaduto per assicurare la prima corona mondiale agli inglesi - nel cortile di casa degli australiani.
2. Quattro anni più tardi, semifinale della Coppa del Mondo contro gli arci-rivali della Francia, ancora una volta sul loro terreno. L'Inghilterra era arrivata in qualche modo a quel punto, ma una prestazione impeccabile nei calci tattici e in difesa del suo perfetto numero 10 – insieme a due penalty e un drop – portarono con sicurezza l'Inghilterra in finale.
3. Se non fosse stato per la vittoria della Coppa del Mondo, un successo contro la Nuova Zelanda sul suo territorio nazionale avrebbe potuto prendere il primo posto in questo elenco. Nella vittoria per 15-13 nel 2003, Wilkinson calciò tutti i punti della sua squadra, con quattro penalty e un drop. Il fatto che l'Inghilterra abbia giocato per un certo periodo in 13 uomini lo ha reso un grande giorno.
4. Un'altra prestazione eccezionale ci fu nella semifinale della Coppa del Mondo 2003, quando guidò con successo l'Inghilterra contro la Francia. Wilkinson segnò tutti i 24 punti inglesi della vittoria per 24-7. Da quel momento avrebbe sempre instillato paura nella squadra nazionale francese.
5. Una partita da uomo-del-match contro il Galles può sembrare un evento piuttosto mediocre in una carriera scintillante come quella di Wilkinson, ma la sua performance nel 2011, prima della Coppa del Mondo, è stata di quelle da assaporare. Aveva perso il suo posto come apertura di partenza a vantaggio di Toby Flood, ma una prestazione superlativa in questa gara di warm-up gli è valsa il posto da titolare.
1. Jonny sarà sempre ricordato per quello che ha fatto con la maglia dell'Inghilterra nella finale della Coppa del Mondo 2003. Dopo aver giocato in modo eccezionale per tutta la partita contro l'Australia, in difesa e in attacco, Wilkinson ha colpito con un drop a tempo scaduto per assicurare la prima corona mondiale agli inglesi - nel cortile di casa degli australiani.
2. Quattro anni più tardi, semifinale della Coppa del Mondo contro gli arci-rivali della Francia, ancora una volta sul loro terreno. L'Inghilterra era arrivata in qualche modo a quel punto, ma una prestazione impeccabile nei calci tattici e in difesa del suo perfetto numero 10 – insieme a due penalty e un drop – portarono con sicurezza l'Inghilterra in finale.
3. Se non fosse stato per la vittoria della Coppa del Mondo, un successo contro la Nuova Zelanda sul suo territorio nazionale avrebbe potuto prendere il primo posto in questo elenco. Nella vittoria per 15-13 nel 2003, Wilkinson calciò tutti i punti della sua squadra, con quattro penalty e un drop. Il fatto che l'Inghilterra abbia giocato per un certo periodo in 13 uomini lo ha reso un grande giorno.
4. Un'altra prestazione eccezionale ci fu nella semifinale della Coppa del Mondo 2003, quando guidò con successo l'Inghilterra contro la Francia. Wilkinson segnò tutti i 24 punti inglesi della vittoria per 24-7. Da quel momento avrebbe sempre instillato paura nella squadra nazionale francese.
5. Una partita da uomo-del-match contro il Galles può sembrare un evento piuttosto mediocre in una carriera scintillante come quella di Wilkinson, ma la sua performance nel 2011, prima della Coppa del Mondo, è stata di quelle da assaporare. Aveva perso il suo posto come apertura di partenza a vantaggio di Toby Flood, ma una prestazione superlativa in questa gara di warm-up gli è valsa il posto da titolare.
Ecco Jonny! Vita e opere
Nome: Jonathan Peter Wilkinson (nato il 25 maggio 1979)
Primi anni: rifiuta un posto presso la Durham University per firmare il suo primo contratto da professionista con il Newcastle.
Il decollo: fa parte della squadra che vince la Premiership 1997-98.
La chiamata in nazionale: debutto contro l'Irlanda il 4 aprile 1998, all'età di 18 anni - il più giovane a giocare per l'Inghilterra nel XX secolo. Subito il "Tour infernale" in Australia nel 1998, poi è abbandonato in panchina nel quarto di finale perso con Sudafrica ai mondiali 1999.
Il mondo nelle mani: punto culminante della sua carriera la Coppa del Mondo 2003 in Australia, quando segnò il drop della vittoria nella finale contro i padroni di casa. È stato nominato Giocatore dell'Anno IRB e Personalità dell'Anno BBC. E' stato anche il più giovane giocatore di rugby a essere nominato Membro dell'Ordine dell'Impero.
Inferno infortuni: carriera costellata da infortuni fino alla Coppa del Mondo 2007, quando ha guidato la squadra ad un'altra finale, anche se non ha raggiunto l'obiettivo in finale contro il Sudafrica.
Macchina da punti: nonostante sia stato superato da Dan Carter come miglior marcatore internazionale, Wilkinson detiene ancora il record per il maggior numero di punti in Coppa del Mondo con 277, ed è anche l'unico giocatore ad aver segnato in due finali mondiali.
Trofei con il club: 1997-98 Premiership, 2001 e 2004 Coppa Powergen (tutte con Newcastle). Appartiene al selezionato gruppo che ha segnato più di 1000 punti in Premiership (1489).
Trofei con l'Inghilterra: Sei Nazioni nel 2000, 2001, 2003 e 2011 (Grand Slam nel 2003). Coppa del Mondo nel 2003. Vice-campione del mondo nel 2007.
Wilkinson detiene il record di trasformazioni segnate con l'Inghilterra (162), quello dei calci piazzati con 239 e dei drop con 36 (che è anche record mondiale). Ha collezionato 91 caps per l'Inghilterra, segnando 1179 punti. Ha inoltre giocato con i Lions sei volte, segnando 67 punti.
E adesso? Sta ancora giocando con il Tolone in Francia, anche se ha posto fine alla sua carriera con l'Inghilterra.
Alex Shaw
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