venerdì 10 febbraio 2012

L'uomo squadra Parisse, secondo gli inglesi

Il Daily Mail dedica al capitano azzurro Sergio Parisse un ritratto-intervista alla vigilia della sfida dell'Olimpico con l'Inghilterra.


 
Sergio Parisse condurrà sabato l'Italia contro l'Inghilterra allo Stadio Olimpico di Roma gravato da un record nei test che non riflette per nulla il suo status: uno dei più grandi giocatori del mondo. Il capitano degli azzurri ha 84 caps, ma solo 24 vittorie. A 28 anni, la percentuale di vittorie è del 29% che scende a un misero 16 quando si tratta di Sei Nazioni. Questa sarà l'ottava volta che il numero 8 dello Stade Francais affronterà l'Inghilterra e tutti i sette precedenti incontri sono terminati con una sconfitta. Eppure, Parisse è considerato uno dei migliori giocatori della sua generazione. Nel 2008 è diventato il primo italiano in lizza per l'IRB Player of the Year.
Nelle giornate migliori può essere il migliore in campo, soprattutto quando il suo sforzo personale è inserito nel reale contesto. Ci sono stati molti momenti in cui effettivamente è stato un one-man team, un faro isolato di spessore mondiale all'interno di una squadra limitata.
L'Inghilterra di Stuart Lancaster affronterà una formazione italiana con altri potenziali punti di forza, dal pilone Martin Castrogiovanni all'estremo Andrea Masi. Eppure, anche se il carico di responsabilità è oggi distribuito in modo più uniforme, la folla dei 70 mila considererà ancora Parisse come l'uomo che ha più probabilità di provocare un risultato a sorpresa. E' un talismano.
Raramente ha una prestazione nella media, figuriamoci mediocre. E' un potente portatore di palla, atletico e furiosamente determinato, un'utile opzione in touche, solido in difesa e dotato di un'eccellente gestualità, velocità e gioco di gambe impressionanti. In breve, tanta roba.
Come suo compagno di squadra allo Stade a Parigi, il seconda linea inglese Tom Palmer lo conosce bene. “Sergio Parisse è un giocatore di alta qualità”, sostiene. “E' un ottimo atleta, molto potente ma anche abile. Il suo tasso di lavoro è alto e perciò ha tutto il necessario per essere un top player. Sembra che elevi il suo gioco ogni volta che gioca per l'Italia. Fa bene anche nello Stade, ma non con la stessa consistenza di quando è in nazionale. Lui è il capitano, è una grande responsabilità e lui raccoglie la sfida. Ci riesce ogni volta che gioca per loro”.
Parisse è nato a La Plata, Argentina, e ha seguito il percorso stabilito dal paese sudamericano al team Italia. Suo padre, un altro Sergio, ha giocato all'Aquila e ha vinto un titolo italiano nel 1967, prima che il suo lavoro per la compagnia aerea nazionale, Alitalia, lo portasse con la famiglia in Argentina. Lì, il giovane Sergio jr parlava italiano in casa e andava in Italia ogni estate, mentre emergeva come un giocatore promettente nel club locale a La Plata. Quando si è trasferito in Italia, è venuto alla ribalta con Treviso, prima di entrare nello Stade Francais nel 2005. In quel periodo, Parisse è approdato alla squadra nazionale e dopo il debutto a 18 anni è stato nominato capitano da Nick Mallett a 24.

Pur insistendo sul fatto che aspira a trofei e titoli, accetta che il progresso dell'Italia - testimoniato dal trionfo dello scorso anno sulla Francia a Roma – sia un processo lento e faticoso. “Voglio vincere, ma quando sono arrivato nel team italiano sapevo che non eravamo in grado di essere competitivi per il Sei Nazioni”, dice. “In ogni caso ho cercato di portare la mia esperienza allo Stade nella squadra e sono sicuro che cresceremo fino a poter aspirare al titolo. Quando questo accadrà, quando potremo vincere qualsiasi partita del Sei Nazioni, tutto il duro lavoro svolto sarà valso la pena. Ci sono un sacco di buoni giocatori giovani e mi auguro che nei prossimi quattro anni siamo in grado di sorprendere la gente e avere successo”.
Parisse, apprezza gran parte dell'Italia, gli piace il calcio e ora si gode la sua prima volta nella casa di Roma e Lazio, anche se le sue preferenze vanno all'Inter. Considera benvenuto il crescente sostegno del pubblico per il suo sport, ma riconosce l'onere extra che impone agli azzurri.
“Sarà incredibile giocare allo Stadio Olimpico”, così commenta la decisione di passare dal Flaminio, che ospita 30 mila spettatori, all'arena che ha una capacità di quasi 75 mila. “Nel 2009 abbiamo giocato contro gli All Blacks a San Siro, con 80 mila spettatori. Il rugby è uno sport nuovo in Italia e giocare in un grande stadio è fantastico per noi. Ma è una responsabilità. Quando si hanno così tante persone che vengono a vederti devi giocare bene. Vogliamo dare ai nostri sostenitori un grande risultato contro l'Inghilterra”.'
Con Lancaster che porta a Roma una squadra imberbe, Parisse crede che l'Italia - carica di caps e di malizia – abbia la migliore possibilità mai avuta di confezionare un risultato a sorpresa. “L'Inghilterra non arriverà a Roma con molta stabilità”, sostiene. “E' una squadra nuova con un nuovo allenatore. Sono convinto che in questo momento non sia la migliore di sempre. Sarà una partita difficile per noi, ma abbiamo molta esperienza e questo è importante, soprattutto perché giocheremo contro una squadra che di esperienza ne ha poca. Non possiamo stare sempre in mischia, per mettere l'Inghilterra sotto pressione dobbiamo giocare più rugby con i nostri trequarti. Dobbiamo cercare di mantenere il possesso e la nostra disciplina per 80 minuti. Se riusciamo a farlo, possiamo battere l'Inghilterra, perché no? Lo abbiamo fatto con la Francia l'anno scorso quando nessuno pensava che potessimo”.
Se l'Italia darà uno shock, il risultato avrà un impatto relativo sulle statistiche della carriera di Parisse, ma la sua reputazione individuale non ha bisogno di una spinta del genere.
Chris Foy

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