Gli Originals. Il nome della squadra è un soffio di leggenda, anche se i nomi dei giocatori quasi si perdono nella notte dei tempi. Dopo il tour trionfale del 1905-1906 in Gran Bretagna, Irlanda, Francia e Stati Uniti, gli uomini si imbarcarono su una nave per tornare a casa dalle loro famiglie e al loro lavoro: ferrovieri, giornalisti, agricoltori. Sei di loro passarono al nuovo codice professionistico del rugby, con il quale avrebbero potuto guadagnarsi da vivere e sostenere i figli. Alcuni sono morti giovani, alcuni sono morti dimenticati.
Il capitano, Dave Gallaher di Auckland, fu ucciso a Passchendaele in Belgio conducendo i suoi uomini su una collina. Si narra che un prete cattolico, dando l'estrema unzione ai neozelandesi, non potè fare a meno di indicare Gallaher a un altro soldato. E di chiedergli: "Sai chi è quello sul tavolo accanto?" Il soldato morente mosse la testa: "Questo è Dave Gallaher, capitano All Blacks del 1905," rispose al prete, esalando l'ultimo respiro. Gallaher fu uno dei 13 ex All Blacks uccisi nella Grande Guerra, tra i quali il suo amico e centro degli Originals Eric Harper di Canterbury. L'ala di Petone Duncan McGregor, che aveva segnato quattro mete con gli Originals contro l'Inghilterra, morì sconosciuto in povertà all'età di 65 anni. Fu sepolto in una tomba anonima a Timaru. Solo alla Coppa del mondo inaugurale del 1987 il suo record di quattro mete in un test match sarebbe stato eguagliato da Craig Green e John Kirwan. E solo nel 2005 a McGregor è stato dato il più elementare dei riconoscimenti della dignità umana, una lapide. E' vero, quei giocatori sono stati quasi dimenticati. Ma quel gruppo in tour non era un insieme di 27 singole stelle, era una squadra. Erano gli Originals.Così anche nel 1987, quando una giovane e inesperta squadra All Black ha vinto la prima Coppa del mondo di rugby. Kirwan, Michael Jones e Grant Fox sono stati brillanti, ma sapevano che la squadra era stata molto più della somma delle sue parti. Nel corso dei successivi 24 anni, gli All Blacks hanno, occasionalmente, perso di vista questo. Date la colpa alle buste paga dell'era professionale. Datela alle esagerazioni dei media. Oppure ai tifosi. Date la colpa all'alcol o alle spiagge del Mediterraneo. Oppure al grande XR6 Ford Falcon nero (sponsor degli All Blacks, ndr), all'iPod, a Twitter, a qualsiasi cosa. Jonah Lomu, Jeff Wilson, Carlos Spencer, i giocatori sono diventati stelle, le buste paga e i contratti di sponsorizzazione stellari. Per alcuni tutto questo è diventato troppo: dopo la sconfitta choc degli All Blacks nei quarti di finale del 2007 contro la Francia, l'ala superstar Doug Howlett è stato arrestato dalla polizia di Heathrow, mentre ubriaco saltava sulle auto.
Non così oggi. Oggi, non c'è Jonah. Nessun Byron Kelleher. Nessun Joe Rokocoko. E, naturalmente, non c'è Dan Carter, a parte il modello in mutande su un cartellone pubblicitario di 26 metri nel centro di Auckland.
Invece, c'è una squadra. Non sono necessariamente i giocatori più belli. Non sono i più ricchi, non sono i più celebri. Ma sono una squadra e tra un allenamento e l'altro hanno incontrato tutti i Kiwi che hanno potuto. Perché quest'anno, non si tratta solo di 15 uomini che corrono all'Eden Park. Il boss della RWC Martin Snedden ha parlato di uno stadio di quattro milioni di persone. Oggi, c'è una squadra di quattro milioni di persone.
I neozelandesi hanno dimostrato quest'anno di sapere cos'è il gioco di squadra. L'esercito degli studenti che ha aiutato i cantabrians dopo il terremoto di Christchurch. Il sostegno alle famiglie dei due soldati morti in Afghanistan. I volontari sulle spiagge della Bay of Plenty questa settimana, andati a raccogliere detriti coperti di catrame e a salvare uccelli intirizziti.
E' quando siamo uniti che diamo il meglio. Nessuna stella. E' lavorando come una squadra che siamo arrivati in finale, e sarà funzionando come una squadra che potremo vincere la finale per la prima volta in 24 anni.
E allora, forza All Blacks. E forza Nuova Zelanda.
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